Francesca Michielin torna con il suo quinto album Cani Sciolti e lancia in radio il singolo Quello che ancora non c’è. Il manifesto programmatico di un’artista libera, coraggiosa nei testi e nelle intenzioni, che rinuncia alle sovrastrutture e punta ai contenuti.

Francesca Michielin pubblica il nuovo album in studio Cani Sciolti (acquistalo qui) il 24 novembre, contestualmente al singolo Quello che ancora non c’è. Il progetto, edito da Columbia Records Italy x Sony, arriva dopo il debutto alla conduzione di X Factor Italia e apre la strada al primo tour nei teatri della cantautrice, partito il 22 febbraio da Bassano Del Grappa (qui i biglietti) – l’artista l’ha presentato in conferenza stampa (leggi qui il resoconto dlel’evento). Disco che raccoglie il testimone indie di 2640 e lo porta in ambientazioni più scure e rock (elegante l’arpeggio di chitarra in Verbena, uno stile che fa eco a Buckley).
“Basta spostare l’accento, l’àncora diventa ancòra, torno nel fiume, tutto è cambiato ma in fondo è uguale”.
FRANCESCA MICHIELIN – BONSOIR
Cani Sciolti segna un prima e un dopo nella produzione di Francesca Michielin, una prova di maturità artistica che fa tesoro delle esperienze vissute in questi dieci anni di carriera e si cristallizza in un manifesto programmatico: l’album è una dichiarazione d’intenti, di poetica della cantautrice che ha capito che tipo di artista vuole essere e cosa vuole lasciare al pubblico, come un “cane sciolto” che non risponde a regole e schemi prestabiliti. È interessante l’accostamento tra la sicurezza di questa volontà e i contorni liberi e leggeri di un viaggio di formazione, un percorso in divenire che è (o almeno dovrebbe essere) l’essenza stessa dell’arte. La Michielin si inserisce così in un gruppo di cantautori determinati che fanno musica “fuori dagli spazi” (cit.), sempre troppo stretti per permettere alla creatività fluire liberamente, e cura ogni aspetto della lavorazione del disco, dalla scrittura all’arrangiamento, fino alla produzione.
Quello che ancora non c’è è il singolo lanciato in radio come apripista di Cani Sciolti, una ballad minimale che punta all’emozione di una voce che sposa la melodia di un pianoforte, per recuperare il senso di identità. Eliminare i rumori esterni “non cercare fuori quello che è dentro di te” e imparare ad ascoltarci: in un momento storico che svilisce e omologa nella performance, la vera sfida è credere che ci sarà sempre il posto giusto per noi, un’alternativa alla velocità di questo tempo che non dà valore alle esperienze che viviamo. Non cedere alla paura di provare una strada diversa, anzi avere fiducia che un “paracadute” (Occhi grandi grandi) sarà sempre pronto ad aprirsi per noi: l’ascolto parte proprio da questa che sembra una canzone d’amore, ma l’intro nu-metal è la prova di un atto di coraggio, un salto nel vuoto.
Non c’è smarrimento quando si sogna e ce lo racconta in Carmen, nato da una chiacchierata con la Consoli (a cui è dedicato), brano simbolo del progetto di cui ne racchiude il senso più profondo. Su una melodia anni Novanta, parte da un’apostrofe alla cantantessa come in un’invocazione alla Musa di epica memoria e si sviluppa in un manifesto di poetica: l’intro degli archi evidenzia la portata del messaggio, la rivendicazione della fragilità, della possibilità di sbagliare, dell’arte come massima espressione della libertà in una direzione sempre “ostinata e contraria”. Cani Sciolti è un album “valoroso” nella sua duplice accezione latina: è denso, ricco di significati, ma soprattutto coraggioso. È il suo disco più intimo e personale, dalle sfumature cantautorali, in controtendenza rispetto all’andamento del mercato musicale attuale che vorrebbe solo canzonette. Francesca risponde alla vacuità con i contenuti, dimostrando di essere una penna di spessore, una firma capace di raccontare la società e la sua generazione.
Ci sentiamo vittime di una società che non accetta chiaro-scuri ma solo estremizzazioni, è sempre tutto o bianco o nero, non c’è incontro né dialogo né possibilità di uno scambio. Di fronte a questo deserto, come un “inverno di parole”, la Michielin sta “costruendo la sua estate” e invita ad essere elastici, a non avere paura del cambiamento. Così Ghetto Perfetto, beat e testo incalzante su atmosfere non a caso tribali, tema sociale dominante, è una provocazione: come può esserci accoglienza nei ghetti, che per loro natura sono separati dal resto? La cantautrice vuole porre l’accento sull’impossibilità di una comunicazione sincera se non si comprende che “gli spazi diversi si specchiano uguali”, che l’unico ghetto perfetto è quello in cui siamo tutti insieme, diversi eppure simili. Il valore della contaminazione, la linfa dell’arricchimento personale e, per un artista, della sua musica.
Il sociale torna in Padova può ucciderti più di Milano, denuncia dell’ipocrisia di una società che si adorna di ideali ma li trasforma in ideologie stantìe e retrograde “perché dici in giro che siamo tutti uguali, se poi voti i razzisti ai consigli comunali?”. Le contraddizioni smascherate di chi si lava la coscienza in chiesa la domenica e crede in cittadini di serie A e di serie B: discorso che vale tanto per gli stranieri quanto per la comunità LGBTQI+ “lasciami amare chi mi va”. A quest’ultima Francesca Michielin dedica Claudia, una canzone d’amore da donna a donna, delicata e onesta “in che lingua dovrebbero amarsi due come noi?” su un’ambientazione cinematografica suggestiva. Racconto sincero di una realtà che non vuole accettare di essere caleidoscopio, al contrario si arrocca in una cattedrale “di cui siamo infedeli”. Una supplica struggente “ma se puoi vienimi a salvare, non so come fare per restare negli occhi di chi non mi vuol vedere” racchiude tutto il desiderio di sentirsi accolti, accettati per come si è davvero, la richiesta di aiuto perché ci insegni a lasciare andare i pesi e vivere senza paura.
Ho sempre associato Francesca agli artisti legati alla loro terra, come la stessa Consoli o anche Elisa, una cantautrice libera che segue la sua strada, il suo istinto, è coerente con il suo percorso senza forzarsi in tempi e modi che non le appartengono. Mi ha sempre colpito la dialettica natura-città che sviscera nei suoi testi e che trova ampio spazio in Cani Sciolti: le possibilità lavorative contrapposte alla nostalgia dei luoghi di sempre, di casa (Un bosco dal gusto anni Duemila, matrice Aguilera), di nuovo il coraggio di lasciare la città per tornare in provincia, con la voglia di dimostrare che non può essere il luogo a disegnare i contorni di un sogno (Piccola città “sognare senza chiedere il permesso”).
A chiudere la narrazione l’amore autobiografico, intimo e viscerale e per questo quasi a cappella, quasi una preghiera laica, nella prospettiva (propria di tutto il progetto) di eliminare le sovrastrutture e mettere in primo piano le emozioni.
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Tracklist e autori di Cani Sciolti
- Occhi grandi grandi (F. Michielin, D. Petrella, Zef)
- Un bosco (F. Michielin)
- Padova può ucciderti più di Milano (F. Michielin)
- Ghetto perfetto (F. Michielin, Fulminacci)
- Quello che ancora non c’è (F. Michielin)
- Piccola città (testo Vasco Brondi, musica F. Michielin)
- Bonsoir (F. Michielin, Colapesce, D. Faini)
- Verbena (F. Michielin)
- Carmen (F. Michielin)
- Non sono io la tua solitudine (F. Michielin)
- Claudia (F. Michielin, F. Abbate, J. Ettorre)
- d. punto (F. Michielin)
