Alex ‘Ciò che abbiamo dentro’: celebrare l’unicità di ognuno di noi – recensione

Alex ha pubblicato il nuovo album Ciò che abbiamo dentro anticipato dal singolo Mano ferma. Un viaggio oltre Manica classico e moderno, dedica ai sogni e alle fragilità.

Alex Ciò che abbiamo dentro

Alex ha pubblicato il primo album in studio Ciò che abbiamo dentro (acquistalo qui autografato) il 4 novembre, anticipato dal singolo Mano ferma attualmente in radio. Il progetto, edito da 21co, arriva dopo l’EP di debutto Non siamo soli frutto dell’esperienza ad Amici 21 e soprattutto dopo le prime esperienze live del cantautore (qui la galleria fotografica del concerto di Roma). Alex tornerà dal vivo con il Non siamo soli tour il 23 novembre al Fabrique di Milano (qui i biglietti).

“Accendiamo un fuoco, anche se adesso piove”.

Alex – Mano Ferma

Ciò che abbiamo dentro è un album che brucia di passione, la stessa che anima Alex in ogni sua esibizione: colpisce il grande trasporto con cui maneggia ogni parola che canta e colpisce anche la sua voce molto dotata (notevole il crescendo finale in Torna a casa), ricca di colori, capace di passare da sfumati a graffi importanti. È un cantautore “vecchio stampo”, non incline alle mode del momento, caparbio per la sua età: la prima caratteristica del disco a stupire è il suono, che ci riporta al territorio del pop rock, al piacere del calore degli strumenti suonati, dell’ascolto. Un genere che in realtà non ha tempo. Nonostante i molti produttori che hanno collaborato, il disco risulta coeso, suona molto inglese con una piccola incursione in stile The Frey in Linea della vita.

Rispetto al precedente Non siamo soli che trattava argomenti più generali, come una finestra sul mondo che ci circonda, con il nuovo album Alex cambia prospettiva e ci accompagna nel suo intimo in un dialogo tra un “io” e un “tu” presente nei brani, nel tentativo (riuscito) di accorciare la distanza con il suo pubblico. A lui sono dedicate la title-track e Noi, uptempo e ballad, apertura e chiusura di album in una composizione ad anello che si risolve nel significato più profondo del progetto: la dimensione del concerto (per cui è pensata la prima traccia che piacerà sicuramente anche ai fan di Ermal Meta) diventa contenitore di esperienze, stati d’animo, gratitudine (la seconda) per quello che la vita ci offre “cadremo sopra questi mari che poi saranno canti, pronti ad abbracciarti, pronti ad abbracciarci”. Ciò che abbiamo dentro è un disco plurale, da questo scambio si arriva a un noi, un io collettivo che abbraccia tutta l’umanità.

È l’umanità la protagonista attraverso la voce e i pensieri del cantautore, che scrive il disco per mettersi a nudo, per seguire l’istinto e farsi conoscere per com’è davvero, senza filtri: un invito a portare fuori la luce che abbiamo dentro “abbiamo già un concerto in corpo”, ad ascoltarci, a capirci e capire i nostri tempi “tutto il resto fuori è solo rimbombo”. Ode alle fragilità di ognuno di noi, che siamo il Titolo di un libro in questo viaggio che nessuno prima d’ora ha fatto, in cui siamo i soli a poter tracciare le coordinate del nostro percorso. L’album è una dedica letterariamente e pienamente romantica alla vita e ai sogni “stelle”, motore dell’artista. È in una scelta stilistica di Quanto pesa la città che trovo il messaggio della sua musica, in quel falsetto sulla parola “cadere”, leggero in crescendo, che strania per il contrasto con il significato del termine: nonostante la realtà fluisca leopardianamente indifferente, inarrestabile, spesso crudele, sa anche essere ricca di dolcezza e possibilità, come nella metafora di Linea della vita che immagina un futuro partendo da un incrocio di sguardi, fugaci (la ritmica a rendere l’idea di una corsa).

Dalle asperità della fine di un amore (altro filone tematico) Stelle in antartide (uno dei brani più moderni e personali, probabile singolo) riuscire a creare qualcosa di positivo, di nuovo, sì malinconico ma non nostalgico del passato: “anche se il cielo viene giù” scalda la delicatezza dell’immagine “avrò la mano ferma solo se la tieni tu”. L’amore cambia forma e si ritrova dolce, come nelle istantanee a cui Alex dà un suono Dire, fare, curare (qui la nuova versione con Sophie and the Giants), colonna sonora dei momenti felici di una storia, a metà strada tra l’elettrica dei Coldplay e il basso dei Foster The People (uno degli episodi musicalmente più interessanti e frizzanti).

Il cantautore riesce nell’obiettivo di aprirsi all’ascoltatore, di fare un ulteriore passo avanti nel suo percorso e urlare Non ho paura, canzone-ponte con Sogni al cielo: le sue fragilità sono diventate la linfa a cui attingere per trovare il coraggio di lasciarsi andare, in un viaggio per abbandonarsi ai sogni – “luci di vetro” da maneggiare con cura – che si costruisce a piccoli passi, come un mantra “io non ho paura, ripeti con me”.

Ciò che abbiamo dentro è il primo album in studio di Alessandro Rina, in arte Alex (o Alex Wyse), pubblicato il 4 novembre per l’etichetta 21co e distribuito da Artist First.

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Tracklist e autori di Ciò che abbiamo dentro

  1. Ciò che abbiamo dentro (Alex)
  2. Stelle in Antartide (Alex con Tony MaielloRaige e Riccardo Scirè)
  3. Mano ferma (Alex con Fabrizio Fusaro e Saverio Grandi)
  4. Non ho paura (Alex con Fabrizio Fusaro e Saverio Grandi)
  5. Linea della vita (Alex con Alessandro La Cava e Francesco “Katoo” Catitti)
  6. Dire fare curare (Alex con Fabrizio Fusaro e Simone Guzzino)
  7. Quanto pesa la città (Alex con Yuri Salihi)
  8. Titolo di un libro (Alex con RaigeAlessio Bernabei e Mario Fanizzi)
  9. Siamo speciale (Federica Camba e Daniele Coro)
  10. Torna a casa (Alex)
  11. Noi (Alex)

2 thoughts

  1. Bellissima recensione che arriva alla comprensione totale di questo artista emergente, a mio avviso una bellissima realtà in questo mondo di frastuono senza senso che è diventato la musica attuale. Concordo con ogni espressione.

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